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L’atto del tagliare è davvero funziona primitiva. Le parole tagliano per esempio.

Il linguaggio deve essere nato proprio con l’intento, la necessità, di tagliare – separare, isolare – un oggetto dal tutto.

Nel dire sasso, diciamo insieme ed indirettamente tutto ciò che sasso non è. Lo tagliamo via dal telo dell’insieme, e gli diamo un’esistenza a sé.
C’è quindi un taglio che separa, divide, stacca il pezzo dal resto, il suo originante.

Lasciare. Ecco perché lasciare spesso è doloroso. I nervi, i muscoli, fisici – mentali – emotivi, faticano a distendersi, allentarsi. Il nostro sé fatica a pensarsi non intrecciato a quell’oggetto, consustanziale ad esso, permeato. Lasciare è amputarsi in qualche occasione. Dedico questo parabolé a mia madre, che da una stanza d’ospedale cerca faticosamente da giorni la via per lasciar(si)e andare.

Il riflesso si spiega come fenomeno fisico: una luce che interagisce con la materia, rimbalza, cambia direzione, torna indietro. I nostri occhi rac-colgono questo ritorno e così possiamo ri-vedere l’oggetto, gli oggetti, i soggetti, noi stessi.

Il mondo attorno a noi è oggi un grande prisma rifrangente: specchi, vetrine, monitor, in cui le immagine moltiplicate formano strati di mondi paralleli, speculari, che si fronteggiano e vivono assieme.

Parabolé 4: trasgredire. Trasgredire è muovere, muoversi, oltrepassare, andare aldilà. Ma di cosa? Aldilà del quà, dove tutto si vede chiaramente, ogni cosa è sé stessa, separata dalle altre. Dove tutto è conosciuto e definito. Non si tratta quindi di andare contro, come in certe declinazioni il trans può essere inteso, ma piuttosto di andare altrove: è una scoperta.

«Non siamo più pienamente vivi, più completamente noi stessi, e più profondamente assorti in qualcosa, che quando giochiamo».

A sostenerlo è Charles E. Schaefer (2011), psicologo americano che ha studiato l’impatto del gioco nel processo evolutivo dei bambini (non solo lui a dire il vero). Il gioco, in questa prospettiva, è esercizio di vita, sperimentazione in vitro dell’esistenza, laboratorio dell’essere e del fare. Ma il bambino non lo sa e per lui gioco e vita, semplicemente, coincidono.