LE COMMUNITY: CONNESSIONI CHE GENERANO VALORE
Con il precedente post ho considerato l’effetto di “conoscibilità” della persona all’interno dell’organizzazione determinato dal profilo personale in ambienti 2.0. Ne ho sottolineato gli effetti sia sul sistema, in termini di evidenzia più ampia del contributo che può essere offerto, sia sull’engagement che ne deriva per i collaboratori.
Il profilo rende conoscibili, definisce i contorni della persona, ma poi questa tesse delle connessioni con altre persone che sono caratterizzate da punti di contatto che disegnano i confini delle community aziendali.
Va detto che il concetto di community è strettamente legato all’idea che l’organizzazione sia in sostanza un “evento sociale” che accade mentre si è impegnati in azioni nell’ambito della componente formale dell’azienda. Si tratta di prendere atto che aldilà delle strutture, dei ruoli, dei processi, nell’organizzazione vi sia uno strato di relazioni informali, latenti, che si auto-generano nell’interazione fra le persone e i comuni punti di vista, sensibilità, preferenze, premesse culturali di fondo.
Faccio una distinzione fra il concetto di informalità e di latenza:
- l’informalità descrive la natura delle relazione all’interno di una community e di questa verso l’esterno, ed il carattere non istituzionale di questa nel quadro della struttura organizzativa. Presuppone però che la community in qualche modo “sappia essa stessa di esistere”;
- la latenza invece è quella dimensione di inconoscibilità della community da parte del sistema, o da parte degli stessi membri.
Vi possono quindi essere community manifeste ai propri membri ma non al sistema; altre manifeste ad uno sguardo attento di parte del management ma non percepite dai possibili membri (pensate ad un sales departement dove i venditori sono collegati fra loro per territorialità e prossimità fisica, ma che opportunamente attrezzati sarebbero in grado di stare insieme in modo ampio come intera comunità di pratica).
Naturalmente vi possono essere diverse tipologie di community aziendali (di pratica, di interessi, di valori), ma ci sono alcuni tratti che accomunano l’esperienza sociale e che vale la pena di sottolineare qui:
- La trasversalità: le community tagliano la struttura formale e creano nodi fra persone che possono essere disperse funzionalmente, territorialmente, per background e appartenenza sociale. Il driver è l’interesse comune;
- La dinamica sociale che comprende: il senso di appartenenza, il supporto reciproco, la compagnia;
- La “peer-to-peer relationship”: la dinamica delle relazioni è simmetrica, e le differenziazioni interne fra le persone hanno più a che vedere con la personal reputation rispetto al tema collante che all’identificazione di ruoli;
- La natura conversazionale: le community generano uno sistema fondato sullo scambio interno continuo attraverso la conversazione sui temi di interesse condiviso. Si genera un sapere collettivo che rinsalda la community e inoltre motiva i membri a partecipare
- La multi-appartenenza: la persona è il centro della dinamica relazionale organizzativa, ed in questo senso può creare nodi di relazioni che lo portano a partecipare a più community nello stesso tempo. Si tratta di un potenziale importante per la persona che si esprime in modo ricco nel sistema, e per l’organizzazione che riduce l’impatto della divisione in silos del sapere
Ritengo vi sia una qualche stratificazione delle community interne se si guarda all’organizzazione con questa chiave di lettura.
La prima vera community è quella che ricomprende tutti membri dell’organizzazione. Questa poi contiene le altre che si articolano con perimetri molto diversi fra di loro.
Le community trovano negli strumenti 2.0 una abilitazione alle loro dinamiche tali da amplificare la propria funzionalità interne, generandosi un ambiente dove le conversazioni diventano permanenti, in cui gli scambi di valore non si disperdono nell’oralità, in cui creare artefatti condivisi (wiki, discussioni, eventi) che generano valore continuo per tutti.
L’organizzazione beneficia così di discussioni e prodotti che accrescono il potenziale complessivo
In tutto e per tutto l’ambiente 2.0 può essere abitato dai membri e personalizzato coscientemente da questi.
In questo quadro quali sono i vantaggi della valorizzazione delle community nell’organizzazione?
Per le persone si tratta di dare espressione alla propria appartenenza ad un sistema che è sociale di fatto. Questa “socialità” si esprime come rete di relazione fattiva nell’ambito di gruppi che accolgono, valorizzano, promuovono un pensiero comune, una modalità di approfondimento, un sapere collettivo.
Per l’organizzazione il potenziale è quello di fruire di un polmone che traspira partecipazione, flessibilità, prontezza a dinamiche veloci, da mettere al servizio di progetti anche sfidanti dell’organizzazione. Ma anche nel daily su attività di problem solving, di co-costruzione di modalità operative, di condivisione di idee innovative.
Naturalmente la domanda potrebbe essere: ma se si tratta di reti informali-latenti per quale ragione considerare una loro possibile “emersione”?
Inoltre una critica in questo senso potrebbe sostenere che: “ciò che funziona nell’informale ha in questa dimensione la sua efficacia, e il palesamento potrebbe dissolvere la stessa community”.
In realtà io penso che nessuna community possa essere fatta emergere sopra la testa dei propri membri. Laddove questa accettasse di rendersi visibile e si offrisse all’intero sistema attraverso la conversazione, lo scambio con altri elementi dell’organizzazione o nell’ambito di progetti specifici, vorrebbe dire che essa stessa trova beneficio nell’esprimersi come entità nel sistema organizzato.
Inoltre si tratta più che altro di far si che la community si determini come presenza nel quadro degli attori del sistema, non tanto di espropriare alla stessa la connotazione di informalità nelle relazioni all’interno e con l’esterno.
E per finire, non è necessario che la community di interesse sulle “locande slow food” debba far parte di un progetto di emersione delle community. Dico non necessario, ma al limite opportuno nel caso vi fosse la necessità (e c’è sempre!) di lavorare sul clima e senso di appartenenza organizzativo. In questi termini anche community più amene, con le opportune policy, possono trovare spazio nel sistema.
Ritengo che vi sia spazio per una progettazione intelligente delle community interne da parte del management. Questa deve essere anticipata da uno sguardo ampio sul capitale umano nell’organizzazione e sul sistema di relazione che lo caratterizza, e su come generare lo spazio (ambiente) necessario ad ospitarle e coltivarle.
L’organizzazione è insieme di community. Le community sono conversazione. L’organizzazione è conversazione.
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