Inizio questa rubrica con una parola che per me rappresenta un tema viscerale, nella mia bi-dimensionalità lettore/autore: libro.
Il libro è, ad una prima esperienza sensibile, un oggetto.
Ha una forma, un peso, una consistenza. Si appoggia, si sposta, si porge, passa di mano in mano, o resta fermo per anni in uno scaffale (non entro nella questione digitale, intanto perché le caratteristiche appena dette valgono anche per il digitale che ha a suo modo forma, peso e consistenza. Inoltre il libro digitale è comunque veicolato da un oggetto – device – che evoca cognitivamente le esperienze del libro/oggetto).
E’ un oggetto che prima di tutto contiene – tiene insieme – custodisce.
Pur nel darsi senza alcuna riserva e resistenza a chi lo vuole leggere, difende tenacemente il suo contenuto. Dalle intemperie, dal tempo, ma non dalle critiche.
Libro in latino vuol dire corteccia.
Questa copre e trattiene il cuore vitale dell’albero, ma si espone all’esterno: protegge ma anche manifesta l’albero al mondo.
Il libro è una pelle in qualche modo: elastica ma resistente, compatta ma porosa.
Un guardiano attento che lascia passare qualcosa, ma non (IL) tutto.
E’ un oggetto che contiene soggetti: chi lo ha scritto e chi lo legge innanzitutto.
Ma anche chi vi viene evocato, citato, raccontato. E’ una tavola imbandita, un convivio permanente, un fotogramma sempre in movimento.
Anche un saggio, come un romanzo, racconta un soggettivo, un angolo di visuale, non esaustivo, eppure necessario.
I soggetti, stando nel libro/oggetto – che li ospita e protegge – rendono soggetto anche quest’ultimo, che prende così vita.
E la dà.
Il libro è, infine, un concetto.
Capace di trascendere l’oggetto in sé, insieme ai soggetti che sono impigliati nella sua maglia dolce ma stretta. Diventa continuamente altro dal suo originale: sempre reinterpretato, travisato, spogliato, squartato, ma mai del tutto distrutto.
Non è solo quella storia che racconta, o quella tesi che propugna ad investire il lettore. Non è solo l’intenzione dell’autore a prendere vita in quelle pagine, ma qualcosa che ve oltre tutto questo: un volante che scappa di mano in discesa, che non controlli più fino in fino. Né per chi scrive, né per chi legge.
Questa sorta di transustanziazione ha la seguente dinamica : l’oggetto contiene soggetti, che lo rendono a sua volta soggetto e che infine si fa, soggetto trascendete, universale.
La consistenza di questo libro/concetto domanda forza d’animo a chi vi si espone. Non è una doccia calda, ristoratrice, ma un bagno freddo, cascata di montagna.
Perché non è un libro se non confonde, disorienta, disturba.
Che cosa te ne fai di un libro con cui sei sempre d’accordo, che parla come già parli, che non ti violenta con parole nuove, sconosciute, pensieri mai pensati?
Che te ne fai in un libro che occupa spazio su una mensola e lascia un “pieno” di fumo – densità effimera, occasionale – dentro di te?
Che te ne fai di un libro che non cambia la tua vita per sempre?
Anche solo con una frase, un passaggio, forse un mero intercalare, la cui dirompenza per te non poteva essere nota nemmeno all’autore.
Perché non è mai stato lui a scriverlo, forse, ma il soggetto trascendente che è sempre stato lì: ben prima della stesura, ben oltre quelle due mani e quella mente, ontologicamente plurale rispetto al singolare che crede di scriverlo da sé.