Scorrere gli engagement report che le più rinomate agenzie internazionali producono ormai da decenni, e che dovrebbero esplorare la dimensione e la tenuta del “legame” (fidanzamento appunto) fra persona ed organizzazione, è esperienza assimilabile allo stare a bocca aperta mentre un dentista forca nella tua bocca con attrezzi appuntiti.
Le curve, stanche quanto la stessa relazione che indagano evidentemente, sono tutte tragicamente discendenti; colano vertiginosamente a picco insieme al morale dei “poveri” executives, a cui abbiamo detto per anni come dalla “virilità” di quel indice dipendesse il valore prodotto nella propria organizzazione.
L’ingaggio, la relazione si dovrebbe dire, starebbe tutto lì insomma, in quei punti in un diagramma cartesiano: se indirizzati verso il cielo indicherebbero idillio amoroso, mentre se in caduta verso terra l’imminente separazione.
E così tutti a costruire piani di azioni infarciti di comunicazione accattivante, gamification, bonus, voucher, programmi di sviluppo sempre più intriganti ed intricati, al fine di rimettere “pepe” nella relazione che si sta sfaldando.
Ma lo sappiamo bene…quando non siamo più negli occhi del/della nostro/a amato/a, non basta un bel vestito o un costoso regalo per riportarlo a noi.
Lo stesso concetto di engagement così come lo abbiamo inteso fin qui, quale “strumento”, leva, di influenzamento, non risponde più alle esigenze del tempo attuale, che sposta la domanda dal “come possiamo stare bene insieme”, al “perché dovremmo stare insieme?” (questione davvero più fondativa per qualsiasi relazione umana).
Il perché è quesito che punta alla dimensione essenziale della relazione, e offe un campo di confronto ben più prezioso rispetto a quello dello “scambio” nel quale abbiano agito in questi anni.
Perché stare insieme, peraltro, è domanda che attiene non solo alla sfera della fascinazione reciproca, ma anche al progetto che ne deriva, che rende quella relazione preziosa per il mondo circostante.
Potremmo dire, mutuando una suggestione che Umberto Galimberti e Massimo Recaltati hanno proposto per la relazione educativa, che serva una nuova erotica nella relazione persona – organizzazione, capace di ridare corpo ad una passione che davvero sembra non trovare cittadinanza nelle aziende oggi.
Vi sono diverse dimensioni di eros che potremmo esplorare.
Uno è quella della persona nei confronti del proprio gesto di lavoro, forse estremamente contratto e anestetizzato da un proceduralismo spinto, ma anche da una tecnologia che, quando mal pensata, le sottrae i fondamentali di quel gesto, relegandola a fare da attivatore della macchina.
C’è poi un eros della relazione fra le persone, colleghi ma anche capi, in cui il movimento amoroso fondamentale, quello della scoperta dell’altro, è contratto da decenni di azione di un paradigma di omologazione, promosso attraverso sistemi di competenze, modelli di talent, che hanno negato l’evidenza fondamentale della natura umana: che siamo differenti, che i nostri modi di esistenza sono, non diversi nei componenti di base (biologici, psicologici, culturali), ma specifici nel mix che ognuno formula vivendo.
Nel rapporto col capo, in particolare, l’erotica starebbe nella buona conversazione che attraversa tecniche e modi di lavoro, certo, ma anche obiettivi, impatti e valore del lavoro di ognuno non solo nello stretto perimetro aziendale o di business ma anche in quello sociale. Infine anche nella consapevolezza di esserci l’uno per l’altro, di supportarsi, fare squadra, essere complici.
In ultimo l’erotica è irradiazione della relazione verso il mondo: come fosse un ulteriore oggetto che gli amanti decidono di amare. E per questo offrono quello che sanno e che sono, il loro saper fare, il loro sguardo, perché di amore, rispetto, entusiasmo, si riempia tutto il creato. In fondo come ci si potrebbe amare in uno scenario apocalittico?
Platone, nel Simposio, fa dire a Socrate proprio sul tema Eros, che l’amore necessita di un oggetto (nel nostro caso il gesto, la relazione, il Purpose sociale). Di conseguenza ha bisogno di ciò che ama, come di ciò che non possiede, che gli manca, ma a cui tende. E ancora: dato che ciò a cui anela non può essere brutto (qui pensate al concetto di bellezza degli antici greci), e ciò che è bello è anche buono, se ne evince che l’innamorato cerca ciò che è buono, giusto: un mondo adatto in cui vivere al meglio.
Tornerò su questo argomento perché lo ritengo prolifico, e sento che serve ancora andare in profondità su quei tre livelli di erotica del lavoro che ho cercato di imbastire.
Nel frattempo tu dimmi cosa ne pensi. Fai esperienza di Eros nel tuo lavoro?