La rivoluzione d’ottobre e quella HR

Mi pregio di ospitare qui il bellissimo post di Luca Vignaga, che mi fa l’onore di recensire #HRevolution.

Buona Lettura!

“L’umano diventa risorsa proprio quando non è fattore produttivo, ma immaginativo, datore di senso e costruttore di contesti in cui si fanno esperienze, si cresce, e anche si resiste insieme”. Donadio, nel suo libro HR Revolution, a cent’anni da una rivoluzione che ha determinato cambiamenti radicali sul piano economico-sociale, pone al centro di una nuova rivoluzione le tecnologie come strumenti per far emergere il potenziale immenso che l’uomo ha dentro di sé.

Quest’anno ricorrono i cento anni della rivoluzione d’ottobre. Tra il 24 e il 25 ottobre del 1917 si registrò quell’insurrezione che portò i bolscevichi a formare un governo presieduto da Lenin che riuscì ad estendere il loro potere su gran parte dei territori del vecchio impero zarista. Una rivoluzione, durata sino alla disintegrazione dell’Unione Sovietica del 1989, che ha avuto la capacità di produrre i suoi effetti oltre uno spazio territoriale generando, dopo la seconda guerra mondiale, la più lunga guerra fredda che la storia abbia mai conosciuto tra due differenti forme di pensiero: il comunismo e il capitalismo. Dire che ha prevalso il capitalismo sarebbe forse un azzardo, visto che proprio negli anni ’80 si esplicava il turbo capitalismo, o meglio la finanziarizzazione del capitalismo, vera e propria involuzione del libero mercato.

Sicuramente quella di ottobre di cento anni fa fu vera rivoluzione, nel senso che ha soppianto l’ordine costituito. Ma è stata proprio la conflittualità tra Usa e URSS che ha fatto esplodere un’altra rivoluzione: quella tecnologica (pensiamo a quanto la competizione innescatasi tra i due colossi mondiali sulla corsa agli armamenti e alle missioni spaziali abbiano prodotto innovazioni di cui ancora oggi beneficiamo).

La parola rivoluzione trova oggi un accostamento naturale proprio nella tecnologia che sta modificando le nostre vite quotidiane. Se però la tecnologia sia fondata su “un pensiero”, qualche dubbio sorge: Karl Marx può ben essere definito l’ideologo del comunismo, Adam Smith quello del capitalismo, e la tecnologia a chi fa riferimento? Jules Verne, Isaac Asimov o Philip Dick? Rimangono principalmente degli scrittori che hanno abilmente prefigurato il futuro, e i suoi effetti e difetti.

Se si frequentano i nerd della Silicon Valley, si fa presto a capire che si dividono in due categorie: chi pensa che la tecnologia possa risolvere i problemi del mondo (salute, ambiente in primis); chi pensa sia un modo per aumentare in maniera indefinita la potenza (la legge di Moore ne è la massima espressione). Questa seconda categoria di nerd vede “l’uomo” come mezzo per incrementare il livello della potenza: l’uomo non è assunto come fine; è visto come strumento per raggiungere “l’universalismo tecnico”, una corsa forsennata senza uno scopo preciso, se non l’aumento della potenza, che ci potrebbe portare a soggiogare l’umanità stessa in nome della tecnologia. Una dinamica che non è detto che prevarrà perché l’uomo ha dentro di sé un principio incancellabile: l’istinto alla sopravvivenza. Non è azzardato allora abusare nei titoli di giornali e libri della parola “rivoluzione” perché di questo stiamo parlando.

“HRevolution” è un libro scritto da Alessandro Donadio che affronta, da uno specifico angolo prospettico, i grandi cambiamenti che stiamo vivendo. Ad una prima analisi potremmo pensare che Donadio si occupi semplicemente di ri-definire gli strumenti di chi si occupa di risorse umane in azienda, una sorta di upgrading della funzione aziendale. In realtà l’autore compie un’operazione ben più complessa e articolata: occorre usare le tecnologie come strumenti per far emergere il potenziale immenso che l’uomo ha dentro di sé. La scelta di campo di questo libro è chiara e nei suoi paragrafi lo si vede in modo preciso: “L’umano diventa risorsa proprio quando non è fattore produttivo, ma immaginativo, datore di senso e costruttore di contesti in cui si fanno esperienze, si cresce, e anche si resiste insieme”. Donadio pone al centro di questa rivoluzione chi si occupa in azienda delle risorse umane (quelli che in passato venivano chiamati “gli uomini del personale”); lo fa svincolandoli, a loro volta, dal ruolo amministrativo e, soprattutto, di controllo in cui si sono cacciati negli ultimi anni. Se c’è una categoria professionale che stabilmente va in “analisi”, è proprio quella del personale. Chi si occupa di risorse umane si trova in continuazione a discutere del proprio ruolo in azienda. Un CEO, un CFO, COO sanno precisamente qual è il loro obiettivo giornaliero; uno che si occupa di risorse umane rischia di essere un po’ confuso avendo molti obiettivi e, quindi, rischiando di non capire le vere priorità.

Precisiamo un punto: se l’azionista è il detentore e il custode dei valori dell’azienda, il responsabile delle risorse umane è il testimone day by day di questi valori. Un esempio? Le assunzioni e i licenziamenti sono gestiti da questa figura: è la persona che ci mette la faccia – dalla “nascita” alla “morte” – lungo la carriera professionale del lavoratore all’interno dell’impresa. Non è un dettaglio questo, ma spesso ci si dimentica che rappresentare un’azienda nei confronti dei propri collaboratori significa non confondere il ruolo di interprete con quello di testimone: l’interprete impara un copione e ha una maschera addosso; il testimone assume dentro di sé dei valori e li pratica. Questa semplice, ma fondamentale distinzione, fa spostare il “potere”, da intendersi non come gestione strumentale a fini personali di questa categoria professionale e ne definisce l’ambito d’azione.

Ecco che allora, in una rivoluzione tecnologica come quella che stiamo vivendo, occuparsi di risorse umane vuol dire principalmente essere: “una vedetta” aziendale in grado di cogliere i trend che si stanno manifestando nel mondo esterno; “un misuratore” per fare un costante assessemnet in modo tale che si possa capire le skills esistenti e quelle prospettiche nel mondo interno; “un manutentore” che sa mettere in atto tutte le dinamiche per cercare di coprire i gap di competenze che si manifestano in azienda; “uno stratega” che sa contribuire ai cambiamenti del business model aziendale. Donadio chiama gli HR ad essere degli “enabling manager”: degli abilitatori dell’organizzazione aziendale che, come lui già da molti anni ha introdotto e dilatato in Italia, è diventata una “social organization” (#socialorg). Per #socialorg intende la piattaforma di incontro che diventa sociale, culturale e organizzativa in cui la tecnologia consente “alle persone ad operare su larga scala, e con livelli di interazione illimitata, le azioni umane più comuni” dal parlarsi al risolvere dei problemi.

“HRevolution” è un vero e proprio master delle risorse umane, in versione cartacea. Oltre ad una robusta visione teorica, legata ad una bibliografia attenta e innovativa, entra nello specifico della “people enabling journey” approfondendo l’employer brandig, il social recruiting, la social induction, la learning organization (piccolo consiglio per la prossima edizione: entrare anche nel “campo minato” della compensation). Nella terza parte del testo la voce passa ad alcuni manager e consulenti del mondo HR che sanno rendere visibile e concreto il lavoro che l’autore compie nelle prime parti del testo. Tutto possibile e attuabile nelle diverse aziende, grandi o piccole che siano? Quando si leggono libri di questo tipo la domanda è obbligatoria e altrettanto è la risposta: certo, si tratta di capire quanto penetrante vuole essere l’intervento.

Tutte le aziende vivono due dinamiche che sempre più si integreranno: la tecnologia e le persone. Si tratta di capire le modalità e l’ampiezza dell’intervento. Infatti ogni strumento operativo di una value people proposition contiene dentro di sé un valore costitutivo e necessario. Un esempio. Il sistema di performance review (la tanto decantata valutazione della prestazione) è oggi uno strumento che ha perso smalto e viene visto da chi lo “subisce” come burocratico, molto spesso falso e inutile ad aiutare le persone nel cambiamento. Non possiamo però dimenticarci che alla base della performance review vi è il fondamento della nostra capacità di migliorarci: il feedback. Fin dai primi giorni noi ci evolviamo grazie ai continui feedback che il contesto – prima familiare in senso stretto, poi sociale in senso largo – ci fornisce. Ecco che allora non basta, anzi sarebbe una perdita grave, abbandonare, a causa di uno strumento inefficace, il valore del feedback e non trovare nuove soluzioni più aderenti e confacenti alle persone che sempre più vogliono sentirsi protagoniste e non sudditi. Non è un caso che molte organizzazioni (GE, Netflix, Accenture, Microsoft…) stiano sperimentando, con fatica, un feedback continuo e più naturale con i propri collaboratori. Esploratori del futuro, questo occorre essere in questo contesto, e Donadio, “dissacrando” anche le sue intuizioni (es. la #socialorg), ci indica la strada per andare oltre, provocando il lettore, stimolandolo a rifiutare le facili sintesi e le ricette precostituite. Guardare oltre vuol dire saper leggere il contesto attraverso la filosofia – “la capacità primordiale di saper porre le domande” – e l’arte – che “agisce sul piano cognitivo ampliando il piano delle possibilità” – . L’HR Revolution è in atto, dipende dai testimoni farla diventare un’HR Evolution.

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