Nei progetti di social&digital transformation una questione centrale è come implementiamo sui processi core una experience che risponda alle necessità reali sia della persona che dell’organizzazione.
In altro contributo infatti notavo come spesso i progetti pilota tendano ad ingabbiare l’esperienza di collaboration senza produrre poi effetti scalabili, a meno di non embeddare queste risorse ai processi core organizzativi.
In questo senso il disegno delle interazioni persona – dato e persona – persona diventa cruciale per definire questo “scarico” nella vita quotidiana e rendersi così pianamente trasformativo dell’organizzazione.
Pur non volendo risultare estremamente radicale su questo, ribadisco qui la mia tendenza a vedere nel SocialHR un owner davvero opportuno in questi passaggi di disegno, proprio per il suo punto di osservazione, oltre che “oggetto”, che è la persona. Lo chiamavo così il “progettista della social organization“.
Ma come si disegna questa esperienza? Quali criteri devono essere tenuti in considerazione?
Intanto la vera cellula fondativa di ogni ragionamento è la persona. E la domanda inziale può essere: qual è il perimetro di contribuzione che questa offre all’organizzazione?
Uno schema di supporto può essere il seguente, di per se molto semplice in effetti
Dico che è semplice come schema di ragionamento in quanto di per se chiede di interrogarsi sui vali layer di contribuzione della persona al sistema organizzativo, che di solito sono:
- task individuali i quali sono inseriti in
- processi organizzativi che producono outcome, contribuendo a
- generare valore organizzativo e vantaggio competitivo
Un esercizio di raccolta di questi livelli di contribuzione è preliminare ad ogni azione di design minimo…in realtà anche su processi non social e digital nelle organizzazioni. In questo senso la funzione HR è davvero chiamata a diventare supporto metodologico e designer vero e proprio delle organizzazioni nuove
Dallo schema sopra deriva poi in qualche modo il social&digital journey della persona in quei layer. Comodo in questo senso rappresentarlo in orizzontale con gli specifici “ambienti” che attivano e abilitano quei layer specifici.
Così l’area del personal knowledge è quella in cui accedendo a documenti, potendoli produrre e potendo gestire il flusso delle action, la persona esegue e da corso ai task che le sono assegnati.
I task della persona sono però inseriti in un processo più ampio (operativo, di staff, a supporto, ecc..), che genera una prima variabile: il lavoro di gruppo. L’area di team collaboration deve sostenere e abilitare quindi l’allineamento, la condivisione di sapere operativo sul processo, ed il coordinamento del team che deve produrre outcome di processo.
Il terzo layer è quello che contribuisce alla creazione di valore organizzativo più ampio. Qui viene chiesto di guardare oltre il processo standard, di generare maggiori livelli di problem solving, costruire best practice, di produrre innovazione. Siamo sul piano della community of practice, e l’ambiente digitale deve abilitare conversazione che valorizzi le azioni migliori e lo scambio di idee.
Come si vede ogni layer ha le sue specifiche necessità che vanno dalla persona che gestendo dati esegue, passando per il gruppo che intorno al dato generano forme di allineamento di processo, per poi scaturire sulla community che genera extra-valore attraverso la conversazione. Dalla persona alla community appunto.
In ognuno di questi layer il set di strumenti abilitanti deve essere opportunamente messo a disposizione se vogliono abilitare quelle azioni specifiche sia individuali che collettive.
Infine però va catturata la dinamica reale dell’organizzazione nella quale le azioni di tasking individuali e quelle collettive sono parallele e sovrapposte e non conseguenti come nelle immagini precedenti.
Sono pochi spunti questi che servono a dire che:
- la social organization tiene insieme processi core ed elementi emergenti
- che il cuore di questo sistema è la persona con i diversi livelli di contribuzione
- un disegno efficace parte dalla persona e la abilita nelle diverse dimensioni
- il socialHR può essere il ruolo ideale per disegnare queste interazioni, a patto che cominci ad impratichirsi con logiche contributive sul modello delle community e sugli strumenti abilitanti