La trappola del Pilot nei progetti di social transformation

Una delle modalità più opportune per promuovere cambiamento organizzativo, è quella di generare delle occasioni di sperimentazione che possano restituire elementi di fattibilità.

Non di meno in programmi di social transformation questa formula può favore la creazione di un caso d’uso in un ambito perimetrato e di sicurezza, nel quale fare apprendimento e correzione eventuale.

Ma il pilota porta con se, insieme ai vantaggi appena detti, anche delle insidie importanti.

Intanto quel vantaggioso perimetro di sicurezza genera anche un confine oltre il quale resta in parte l’ignoto (quando lo lanceremo sui clienti poi funzionerà?; quando lo allargheremo a tutta l’organizzazione avremo problemi che non vediamo? ecc…).

Insomma il pilota rischia di diventare una campana di vetro molto difficile da abbandonare, il cui superamento chiede comunque dosi importanti di coraggio nelle scelte manageriali.

Insisto da tempo su un concetto davvero intuitivo quanto poco metabolizzato nel mondo della social&digital transformation: si tratta in ultima analisi di progetti di cambiamento organizzativo, con tutto il loro portato di impatto su processi, persone, e certamente tecnologie abilitanti.

Questo vuol dire, ribadendo ulteriormente, che le leve sono quelle del cambiamento culturale, dell’accrescimento delle competenze, della rivisitazione dei processi, e non solo dell’introduzione di ecosistemi digital.

In questo senso siamo e rimaniamo nel terreno dello sviluppo organizzativo, come cerco di dare evidenza con lo schema qui di seguito.

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Come si vede indico tre “campi da gioco”: quello del pilot, quello organizzativo, ed il mercato.

Il primo è il campo in cui creiamo quel perimetro sperimentale che ci serve per capire ed apprendere. Il secondo è quello dell’organizzazione in senso stretto, fatta di processi, metodologie, approcci finalizzati. Il terzo è quello i cui il prodotto/servizio si scarica.

Nell’asse delle ascisse ho posizionato la dimensione della purpose. In effetti per ognuno di quei “campi” vi è una purpose specifica che va considerata.

Così nel pilot field la purpose è quella specifica data alla sperimentazione (innovation, scambio professionale, progetto, affiatamento con strumenti digitali, ecc…)

In quello organizzativo la purpose è l’apprendimento e l’acquisizione di concept replicabili.

In quello del mercato la purpose è la valorizzazione in termini di crescita di business.

Nell’asse delle ordinate ho cercato di cogliere il percorso di sviluppo che va dalla sperimentazione fatta nel pilot, passando per l’ inserimento delle migliori pratiche emerse nei processi organizzativi, fino alla capitalizzazione di queste pratiche nell’incontro con il mercato.

Il warning che lancio qui è che troppo spesso il pilota resta l’unica dimensione praticata intrappolando le pratiche osservate ed emergenti dentro il pilota stesso. Questo blocca lo sbocco verso l’embedding di queste nell’organizzazione e quindi l’impossibilità sostanziale di portare a profitto quella sperimentazione.

Le cause in realtà le ho ipotizzate fin dalle prime battute del post: la paura.

Una paura non priva di senso intendiamoci. L’estensione del pilota ai processi organizzativi non è la mera replicazione di quello che si è visto nel pilota. Questo perché l’organizzazione formale è una entità a sua volta, che fatica a farsi “maneggiare”…si sottrae alle tensioni di cambiamento.

Ma certo l’organizzazione sono le persone che la compongono, effetto della leadership che la governa.

Ecco perché in tutto questo lo sforzo cruciale è quello del change agent (freccia gialla). Quello di fare push per il trasferimento da un campo a quello successivo dell’esperienza. E serve coraggio oltre alle certezze (?) che il pilot sta consegnando. Serve la dimensione della scelta che non è automatica, potendo il pilot auto-segregarsi senza troppa difficolt.

http://www.dreamstime.com/stock-photos-community-concept-teamwork-as-group-people-symbols-organized-social-circle-as-metaphor-communication-image39105413Facciamo un esempio: immaginiamo di lanciare una esperienza di community of scope di innovation.

Queste esperienze tendono già a generare una segregazione di fatto, in quanto il processo di conversazione su temi di innovation è un meta-processo.

Le community of scope hanno poi la dimensione temporale come fattore importante: devono chiudersi entro un periodo definito e produrre un output formale se vogliono generare effetti.

Queste due dimensioni tendono a segregare l’esperienza proprio perché la community si posiziona in una ambito estemporaneo alla vita organizzativa.

In questo senso l’azione del change agent diventa funzionale al processo di sviluppo.

Nell’esempio attivando tavoli di valutazione delle idee che sono emerse nella community, e spingendo per la costruzione di una road map che preveda l’implementazione di quelle più promettenti.

E poi ancora sollecitando le funzioni di business ad immaginare subito come portare a valore alcune di queste. Nell’esempio portando sulla customer community l’idea per testarla ed al limite fare attività di co-design con il cliente.

http://www.dreamstime.com/stock-images-if-you-never-try-you-will-never-know-image38413064Insomma, riassumendo quello che vorrei sottolineare è che:

  • i pilota sono strumenti potenti di cambiamento per la loro natura intrinseca a produrre elementi di apprendimento su concept, pratiche e knowledge emergenti
  • i pilota non vanno “lasciati soli”. Una volta lanciati chiedono ai diversi attori di osservare ed ascoltare. L’owner del pilot certamente ha un compito specifico nella sperimentazione. Ma fondamentale è che ruoli più organizzativi o di processo (il SocialHR?) osservino per cogliere gli elementi di valore e trasferirli nell’organizzazione formale. Ma anche le funzioni di business che da quell’ascolto può/deve trarre spunti per sollecitare il proprio mercato o allargarlo
  • il change agent è ruolo cruciale per spingere l’esperienza fuori dal suo confine di pilota verso gli altri due campi
  • la leadership moderna deve abbandonare il mero presidio del controllo e andare a posizionarsi sul piano del continuo sviluppo e cambiamento della propria organizzazione

 

 

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