Ho detto più volte di come la funzione HR sia ad un crocevia drammatico: ripensare al proprio ruolo in chiave di “architetto” di luoghi organizzativi, o atrofizzarsi definitivamente.
L’HR si è storicamente tenuto lontano dalla progettazione organizzativa, ritenendo che le persone sulle quali il ruolo si trovava a lavorare in chiave di growth & development poi potessero essere inserite senza troppe complicazione nel contesto che altri avevano disegnato.
Ma in realtà è andata anche peggio di così. Alla funzione HR è stato chiesto costantemente di lavorare perché le persone fossero calate in quel contesto senza resistenze nella logica secondo cui alla solidità dell’organizzazione si dovesse opporre la liquidità delle persone (ne ho parlato in questo speech).
Insomma, persone e contesto, elementi che in ogni disciplina e scienza sociale sono considerati come inestricabili, nelle organizzazioni sono diventati campo di due specialismi separati con euristiche, tecniche e strumenti molto diversi e poco interagenti.
Ma se c’è una cosa chiara a chi sta guardando al paradigma della Social Organization con l’interesse che questo merita, è che per liberare il potenziale delle persone e con esso il valore che queste possono dare quando stanno in connessione, scambiano sapere e collaborano, l’unico vero ambito in cui è possibile lavorare è il contesto. Leggi: organizzazione.
E’ indiscutibile quindi come il ruolo di una funzione di socialHR matura debba lavorare su questa dimensione se vuole produrre risultati reali.
Certo, vanno poste delle premesse metodologiche; degli assunti forse è meglio dire.
Il primo è che l’organizzazione non è questa:
ma piuttosto questa:
Se queste premesse sono valide, allora il sistema abilitante si presenta come segue:
Si tratta di un campo nel quale la persona in rete di connessioni, alcune strette altre più deboli, opera mosso da value propositions, piuttosto che da meri task, e dove le differenti posizioni organizzative rispondono anch’esse al presidio di funzioni fondamentali per la sopravvivenza del sistema piuttosto che a job profile legati a targhette sulle porte.
Quindi abbiamo: connessioni, value proposition e funzioni da abilitare sempre più, e nel quale l’HR gioca (può giocare) un ruolo fondamentale.
Nello schema seguente ho provato ad incrociare queste dimensioni per domandarmi poi quali strumenti siano a disposizione del socialHR per la progettazione del campo sociale abilitante.
In sostanza ho posizionato su un asse le tre dimensioni tipiche del fenomeno community (colta in generale nella sua dinamica sociale): lo scambio del sapere che aumenta l’efficacia e le possibilità di sopravvivenza, la risoluzione di problemi che permette il superamento delle difficoltà contingenti, e la tensione innovativa che porta quel gruppo sociale verso il futuro.
Su altro asse ho inserito tre cluster, meglio livelli di attività essenziali per ogni community: il livello esecutivo, che produce l’ “oggetto” a fondamento dell’organizzazione. Il livello professionale portatore delle core competences organizzative che integrate fra loro generano il valore per il cliente. E infine il livello strategico, che genera occasioni di sviluppo e il necessario movimento in avanti.
Attraverso questo incrocio semplificativo di una materia che semplice non è, si sviluppano dei quadranti in cui gruppi, communities, svolgono attività cruciali che possono essere abilitate da strumenti e social tools oggi a disposizione.
La lettura è di per se intuitiva, ma diciamo che a maggiormente siamo vicini all’origine degli assi più forte è la dimensione della collaboration, mentre più ci allontaniamo da questo “inseguendo” la sua (ideale) retta ,più forte e la dimensione della conversation.
Intendiamoci, non è che le due dimensioni siano alternative: non esiste nessuna collaboration senza il driver della conversazione, e non c’è nessuna conversazione che crea valore senza collaboration. Ma è chiaro che laddove deve essere prodotto un “oggetto”, processi e strumenti devono abilitare azioni collaborative, mentre laddove deve essere prodotto un “pensiero” questi debbono facilitare lo scambio dialogico e l’apporto aperto.
In questo campo come detto il socialHR diviene l’architetto di spazi collaborativi e conversazionali nei quali le persone producono valore per se stesse e per l’organizzazione.
Importante è certamente la sintesi che il socialHR deve essere in grado di fare fra l’elemento persona e strumenti abilitanti. In questo senso la conoscenza degli strumenti digitali e dei social tools è per questo cruciale. Ed intendiamoci, questa deve divenire una competenza commodity per esso.
Lo schema proposto è più un approccio che una matrice definitiva e completa, ma può aiutare a fare delle riflessioni di base laddove nell’ambito della vita organizzativa si stessero per lanciare delle esperienze di social organization.
10 risposte
L’ha ribloggato su flaneurkh.