Uno dei crucci delle imprese mediamente più attive sul fronte HR è quello di trovare strumenti di motivazione capaci di generare engagement employee continuo e duraturo.
I sistemi di premi sono fra questi: MBO (management by objectives), modelli articolatissimi di incentivo con algoritmi che metterebbero in crisi il miglior Gauss, una tantum, ecc…
Questi approcci, per come la vedo io, hanno una loro dimensione per carità. Ma va detto che come la benzina fa muovere l’auto finché il serbatoio è pieno, quando si è esaurita l’utilità reale del premio per la persona, la motivazione torna al punto zero.
Ulteriore effetto è quello di disarticolare continuamente il sistema organizzativo alla ricerca di quel talento individuale da premiare proprio per la sua capacità di “fare da solo e meglio degli altri“. (Tema discusso qui)
Inoltre queste forme di stimolazione non riescono proprio a funzionare su un piano più profondo di engagement e di senso di partecipazione della persona al “progetto organizzativo“.
A voler fare i teorici (che non guasta in questa materia) dovremmo dire che la fallacia intrinseca dei sistemi di incentivo/premio risiede in un assunto che forse sfugge anche agli specialist più ferrati di questo modelli: il comportamentismo.
Questo assunto tende a vedere la persona come un soggetto piuttosto minimale con attitudine a rispondere ad una stimolazione di tipo A con un comportamento di tipo B. Sempre uguale e ripetibile.
Naturalmente ognuno di noi, specialisti di area HR, sa bene che così non è, ma pur riscontrando la sempre meno efficacia di questi approcci, non riusciamo più a risalire a questo assunto molto ingenuo e semplificatorio per metterlo in discussione nelle sue fondamenta.
Forse anche perché dovremmo a tutti gli effetti sostituirlo con qualcosa di meno quadrabile nei sistemi organizzativi come sono pensati oggi: burocratici e quantitativi.
Di fatto però la persona con tutta la forza della sua complessità risponde mettendo in crisi questa logica meccanicistica.
Su questo blog ho più volte manifestato una mia personale visione circa le modalità di partecipazione delle persone al ragionamento intorno al senso del progetto aziendale (conversazione), allo sviluppo organizzativo (co-costruzione) e al processo decisionale a diversi livelli (decisioni).
In questa sede però voglio tornare su quell’assunto errato di persona come scatola vuota da stimolare con input che generano output, per rimanere sul piano della messa in discussione forte. In qualche modo resto sul lato distruens della questione.
Lo faccio mettendo a disposizione una bella sintesi del lavoro di Daniel Pink che letteralmente dimostra come l’incentivo materiale, nel caso specifico il denaro, non riesca a rispondere alla domanda di senso della persona come forza che la muove a dare il meglio di se.
Cosa ancora più paradossale è l’asserzione, supportata da studi scientifici, di come in casi in cui il compito richieda componenti di creatività e problem solving, la ricompensa in denaro diventa addirittura un elemento di disturbo fortissimo.
Cosa invece “libera” valore? Autonomia, padronanza e scopo. Elementi che riconosco come fondanti del modello di social organization che spesso ho discusso e promosso qui.
Ve lo propongo nella versione del RSA animate tradotta in italiano.
http://youtu.be/YhWGs6Yx6ko
2 risposte
Reblogged this on FLOW: il blog di Liquid and commented:
Non sempre il denaro è l’unico motivatore. Anche la forza degli ideali o valori come l’autonomia, la crescita professionale o l’impegno possono essere introdotti in azienda nella scala degli incentivi. Lo rivela uno studio dell’MIT raccontato da Alessandro Donadio nel suo blog Metaloghi Organizzativi.
Uno spunto interessante di riflessione perché impattano su una nuova visione dell’organizzazione del lavoro, meno dirigista e meno manipolatrice e più condivisa, aperta e co-creativa